Sono sempre stata molto fiera della tesina che presentai alla maturità, ancora oggi la ricordo con un senso di orgoglio o forse dovrei dire che fino ad oggi la ricordavo con un senso d’orgoglio. La lettura di “Cosa vuole una donna” di Alessandra Bocchetti, una lettura che consiglio a tutte, mi ha permesso di guardare me stessa sotto una prospettiva diversa.
Arrivata alla lettura della riflessione intitolata “le donne con le donne possono” mi sono ritrovata a fare un inaspettato salto nel passato fino ai tempi della maturità (il 2003).
Soltanto le donne con le donne possono darsi valore, che è la cura più urgente. Chi altro lo potrebbe fare? Ma questo è molto difficile perché noi stesse siamo ammalate di disvalore reciproco e di disvalore verso noi stesse.
Un passaggio che mi ha ricordato il manifesto delle Radicalesbians
Le donne odiano sia se stesse sia le altre donne. Cercano di sfuggirvi identificandosi con l’oppressore (…)
Vi starete chiedendo cosa c’entri tutto questo con una tesina di un esame di maturità, purtroppo c’entra molto. La mia tesina era incentrata su “I concetti di spazio e tempo nel contesto culturale, filosofico e scientifico del 900“. Ero molto fiera del mio lavoro perché ero riuscita a tenere insieme le mie materie preferite: filosofia, fisica e storia dell’arte.
Una mia compagna, con la quale mi sentivo di competere simbolicamente nel rendimento scolastico pur essendo per me una cara amica, scelse “la condizione della donna nel 900” (o la questione femminile nel 900?). La sua esposizione iniziava con una critica al detto “donna al volante pericolo costante“, ammetto del resto della tesina non ricordo molto.
Ripensando a quegli anni mi rendo conto che guardavo al tema della sua tesina con sufficienza: il tema scelto da me mi pareva “grande”, coinvolgeva la Ragione (quel concetto di Ragione teorizzato dagli uomini nel corso dei secoli) e affrontava concetti che quasi tutte le discipline razionali avevano trattato. Raffrontavo le nostre scelte e mi chiedevo come si potesse scegliere un tema così “inferiore”, “di poco conto”.
Dopo tutto in quegli anni la questione femminile sembrava essere sepolta e a scuola le donne e i temi delle donne occupavano miseri e striminziti trafiletti nei libri di tutte le discipline: storia, letteratura, filosofia, scienza. Ci veniva ricordato sommariamente che ad un certo punto ci fu il movimento delle suffragette che lottarono per l’ottenimento del diritto di voto (e non un movimento che operò in Europa per più di 50 anni fra la fine dell’800 e l’inizio del 900). Le letterate erano pochissime sebbene abbia avuto una prof di italiano che ci fece studiare persino Gaspara Stampa (e anche questo aprirebbe uno spaccato impietoso su me stessa, su cui oggi intendo sorvolare). Nella scienza conoscevo Marie Curie, mio grande amore ed esempio da quando avevo 12 anni. In filosofia la prof, che fu una pioniera dello spazio riservato alle donne nella filosofia, ci fece studiare Hannah Arendt, Simone Weil, Rosa Luxenburg.
Tutte queste donne, però, non riuscivano minimamente a controbilanciare l’immaginario di potere assoluto e genio indiscusso degli uomini: per valere qualcosa sembrava che io dovessi dimenticarmi di essere una ragazza e “neutralizzarmi” (quindi annullarmi in un neutro maschile) per identificarmi con un uomo, cambiare sesso in sostanza.
Quel sentimento di simbolica superiorità che provavo per le mie scelte risiedeva proprio in questo, nell’aver scelto un tema importante in discipline in cui la Ragione(maschile) la faceva da padrone.
Oggi guardo me stessa un po’ con vergogna e un po’ con indulgenza, perché quel tema, che allora mi sembrava inferiore e di poco conto e forse di nessun interesse, costituisce il tema centrale del mio agire e del mio pensare. Mi ritrovo a criticare una cultura che cancella le donne e relega le donne ad un costate stato di inferiorità e di irrilevanza; ci sono schiere di uomini che si sentono in diritto di deridere le donne perché non hanno fatto scienza, filosofia, diritto, politica, poco importa che alle donne sia stato vietato, rimane il fatto che non ci sono state. L’indulgenza è sicuramente per la me diciannovenne che in quel momento si sentì di fare qualcosa di “valore” in contrapposizione a un’altra che aveva scelto se stessa come tema.
Guardo al presente con speranza perché oggi tante donne, giovani e meno giovani, sono concentrate e lavorano per far emergere la storia di donne che fecero molto o avrebbero potuto fare molto se fosse stata data loro la stessa possibilità e lo stesso riconoscimento che veniva garantito a chi per 5000 anni è nato di sesso maschile. La speranza è che sempre meno ragazze guardino a loro stesse e alle altre con lo stesso disprezzo interiorizzato e mai esplicitato.
Sono grata all’autocoscienza e alle donne che l’hanno resa possibile e sono infinitamente grata alle donne con cui pratico l’autocoscienza. Senza questa pratica alcune frasi che appartengono al pensiero femminista mi sembrerebbero o oscure o quantomeno delle esagerazioni.
Se non avessi la possibilità di ripensare a come sono stata e a cosa ho fatto e pensato non potrei capire cosa significa “la donna che si identifica con l’uomo” oppure affermazioni come quelle di Verena Stefan
Essere emancipata aveva voluto dire fino ad allora soltanto diventare l’immagine riflessa dell’aridità maschile, rinnegare come banali i miei sentimenti, sofferenze, pensieri
Mi rendo conto che tante volte il femminismo può sembrare aria fritta e questo è molto utile al dominio maschile; in realtà il femminismo ci fornisce gli strumenti per guardarci autenticamente.
Questo episodio che vi ho raccontato è proprio un esempio di come siamo educate al disvalore reciproco e personale, come direbbe Bocchetti, o di come ci odiamo e finiamo per odiare anche le altre, come direbbero le Radicalesbian e di come essere “emancipate” significhi rinnegare il fatto di essere donne e derubricare come banali i sentimenti, le sofferenze e i pensieri delle donne come disse Verena Stefan (esattamente come feci nei confronti della mia compagna e della sua tesina).
Questo non vuol dire che scegliere la scienza o la filosofia come ambito di studio sia una forma di adesione al patriarcato, lo è invece lo stato d’animo con cui scegliamo le discipline che studiamo e come poi ci relazioniamo alle altre donne anche solo in termini di disposizione.
Il femminismo non si rivolge a tutte allo stesso modo e ciascuna trova se stessa in punti e momenti differenti, quello che non cambia è la possibilità di liberazione e affermazione di sé.
