Ce l’ho caldo…

Cosa fosse la sessualità e quali fossero le pratiche sessuali l’ho imparato dai compagni maschi alle scuole medie e questo è accaduto in un’epoca in cui internet non era nelle case, i porno erano tutti dei “film” e i ragazzi avevano soprattutto accesso ai “giornaletti porno” che venivano venduti ed esposti dai giornalai in una teca nemmeno troppo nascosta dagli sguardi dei minori.

Se ripenso oggi a quei contenuti sessualmente espliciti, quei corpi di donna esposti al pubblico come se fossero riviste di automobili, cucito, luoghi da visitare e se ripenso soprattutto al fatto che fosse socialmente accettato che i minori potessero guardare più o meno di sfuggita quei contenuti in presenza dei loro genitori e che questo in fondo fosse qualcosa di socialmente accettato, mi è evidente quanto sia profondamente ipocrita chi si oppone, anche sedendo in Parlamento, agli incontri sulla sessualità e all’affettività nelle scuole medie e superiori.

Chi si oppone sostiene spesso che quella sfera è di pertinenza dell’educazione familiare, dei genitori; mi chiedo quanti genitori di figli nati negli anni 80 abbiamo anche solo accennato un discorso sulla sessualità quando sostavano con figlie e figli minorenni davanti alle edicole con le riviste porno in bella mostra. I miei non l’hanno fatto, eppure la sessualità non è stato un vero e proprio tabù in casa, anzi direi che molti discorsi sulla riproduzione e sul coito mi sono stati fatti proprio dai miei genitori e nella tarda infanzia.

Dubito fortemente che oggi i genitori accennino al discorso sulla sessualità pur sapendo che dare un cellulare con connessione internet dai dieci anni in poi significa accesso ai contenuti pornografici: evidentemente i contenuti sessualmente espliciti e pornificati vanno bene se usufruiti senza commento e riflessioni fra le quattro mura della cameretta, senza alcun controllo o parola quando i figli maschi si vedono con gli amici e hanno tutti un telefono in mano, ma guai che si parli di preservativo a scuola o di cose ben peggiori come l’omosessualità, la bisessualità, la sessualità non eteronormata e incentrata sul coito.

Eppure quelle riviste, esattamente come i video porno oggi e le fanfiction a sfondo pornografico o gli anime hentai, hanno (avuto) un impatto decisivo sulla creazione dell’immaginario sessuale dei maschi e di conseguenza sull’immaginario delle femmine.

In prima media i miei compagni avevano tutti accesso ai giornaletti porno, tramite fratelli o amici più grandi e sospetto soprattutto grazie alla connivenza di giornalai che, per legge, non avrebbero dovuto vendere quelle riviste ai minori, come vistosamente indicato sulle stelline che coprivano i capezzoli di d”onne sessualmente disponibili e ammiccanti, ma che chiudevano un occhio e le passavano sottobanco fingendo che quelle facce lisce come culetti di bambini fossero visi di uomini fatti e finiti.

Sono stati proprio quei compagni a portare verbalmente e materialmente nelle vite di noi ragazzine pratiche sessuali di ogni tipo, allusioni, battute proclamate dall’alto della loro già totale libertà sessuale e morale. Questo potere è qualcosa che hanno appreso molto velocemente, sembrava una continuazione di un potere che era nelle loro mani ancora prima che potesse diventare un potere sessuale. A noi ragazze non era permesso pronunciarle, dovevamo provare vergogna all’idea di pronunciarle, una vergogna che diventava modestia quando le udivamo; una modestia consenziente, imbarazzata e al tempo stesso accogliente. C’era una zona grigia e fluida delle aspettative sulle ragazzine che prevedeva che si fosse stizzite, lusingate, incuriosite al sentire un ragazzo pronunciare in modo “goliardico” quelle parole. Se quelle battute/affermazioni venivano indirizzate a noi ragazze sapevamo, non si sa bene come, quale mix corretto di reazioni mostrare pubblicamente: la prima reazione doveva essere di sorprese, diventare velocemente stizzite ma non troppo per non risultare respingenti e quindi abbozzare un sorrisetto anch’esso stizzito ma non troppo credibile. Insomma, essere una brava ragazza significava non fare proprie quelle “cose sporche“, ma lasciare che i maschi fossero liberi di esprimersi e in fondo, molto in fondo e soprattutto in modo non visibile, essere gratificate da quelle attenzioni un po’ sconce. Un dosaggio minimamente diverso di tutte queste reazioni poteva trasformarsi in una catastrofe sociale che va dalla frigida-figadilegno alla puttana-ninfomane.

Nella pratica le cose seguivano i discorsi: la sessualità non era solo fuori dalla portata in termini di discorso, era fuori discussione che potessimo liberamente esplorarla. Se non puoi parlare non puoi chiedere, se non puoi chiedere non puoi confrontarti e sei sola. Ho intuito, senza che nessuno me lo dicesse esplicitamente, che la mia sessualità sarebbe stato un evento personale e contemporaneamente un fatto pubblico.

Proprio in quegli anni ho imparato che i maschi ricevono il potere sessuale alle soglie della pubertà e non lo perdono mai.

Per rendere l’idea di questo potere ho in mente un episodio avvenuto proprio in prima media. La mia scuola era a dieci minuti di strada a piedi da casa e nel corso della seconda metà dell’anno scolastico i miei genitori mi permisero di fare un tratto di quella strada da sola, l’ufficio di mia madre, infatti, si posizionava esattamente a metà del percorso e il mio orario di uscita coincideva con il suo orario di uscita per la pausa pranzo. Un giorno, mentre seguivo la carovana di chi tornava a piedi in compagnia di due mie compagne, mi sono ritrovata “personaggia non protagonista” di una delle prime lezioni di potere sessuale della mia vita. Davanti a noi c’era un gruppo di ragazzi che conoscevamo fra i quali c’era E., il mio vicino di casa, figlio di un medico affermato e un “amico di famiglia”.

A un certo punto E. si gira verso di noi e rivolge a me queste parole: – ce l’ho caldo.

Sorpresa lo fui davvero e sapevo benissimo a cosa stesse facendo riferimento, la prima media era iniziata da un pezzo. Ebbi esattamente la reazione corretta e davanti al mio cocktail impeccabile di reazioni da brava ragazza lui replicò: – il braccio, cosa hai capito– . Il tutto accompagnato da uno sguardo tronfio e divertito di chi mi aveva colto in castagna e atterrato moralmente.

L’allusione sessuale l’aveva fatta lui, sapendo di fare un’allusione sessuale, per ottenere una reazione “degna” (per il mio sesso) di quella affermazione ma improvvisamente e pubblicamente la sporca depravata ero io.

Quello è stato il mio battesimo nella relazione diretta col potere sessuale maschile e avevo perso ancor prima di iniziare.

In quella conversazione io, una ragazzina di 11 anni, non ero stata soggetto ma oggetto/preda: non l’avevo iniziata io, non avevo fatto nulla per cercare quello scambio se non tornare a casa appena dietro di lui e quel gruppo di ragazzi eppure nel giro di esattamente otto parole ero diventata sporca e maliziosa.

Ero sicura, proprio in quel momento, che se avessi raccontato l’accaduto a qualcuno sarei stata interrogata e messa a giudizio, mi sarebbe stato chiesto cosa stessi facendo (tornare a casa con lo zaino Invicta in spalla?); sapevo che era un avvenimento da nascondere, su cui sorvolare e da dimenticare il più in fretta possibile.

Questo episodio mi ritorna alla mente ogni volta che leggo di uno stupro, ogni volta che sento e leggo commenti del tipo ma che ci faceva a quell’ora, chissà come era vestita, chissà cosa ha fatto lei.

Ve lo dico io cosa stava facendo: stava facendo quello che facevo io a 11 anni al ritorno da scuola, esisteva.

Da dove venivano quelle certezze adamantine sul destino che mi sarebbe toccato se avessi raccontato la cosa? Quando le avevo imparate? Dove le avevo imparate? Sapevo senza ricordare dove avessi imparato a sapere. Però sapevo.

Il potere sessuale dei maschi è solo cresciuto nel tempo del mio sviluppo; l’ho visto ingrandirsi, espandersi, prendere consistenza. Più il tempo passava più loro si liberavano delle movenze impacciate della pubertà e con questa perdita facevano fluire nelle loro vene questa libertà assoluta di usare, dire e vivere il sesso come ritenevano opportuno; erano liberi dalla morale, erano esseri a-morali, mentre per me e per tutte le altre ragazze le cose si complicavano sempre di più, i passaggi si facevano sempre più stretti, sempre più contorti.

Non erano ingenui, erano liberi, erano feroci predatori di ogni discorso sessuale; potevano fare quello che volevano e nessuno se ne curava. Quel potere sessuale era la premessa e il presupposto dello stupro, questo non significa che tutti sarebbero stati stupratori ma che tutti avrebbero potuto esserlo perché era loro consentito.

E come sono le cose oggi? Come è la vita di una ragazzina alle scuole medie? C’è lo stesso silenzio? Come imparano e scoprono la sessualità le adolescenti? Hanno percorsi più liberi? Subiscono le stesse regole che ci opprimevano? Hanno altre regole che imparano non si sa bene come? Sono libere di scoprirsi e scoprire quello che desiderano? Oppure anche loro si ritrovano magicamente un copione in mano che delinea loro un personaggio scritto da altri?

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