Surrogacy Underground: il documentario che farà discutere.

Surrogacy Underground è un documentario, girato da Rossella Anitori e Darel Iaffaldano Di Gregorio , che si propone di restituire uno spaccato autentico di chi è coinvolto nella pratica della gestazione per altri focalizzandosi su tre paesi: la Grecia e l’Inghilterra, paesi in cui la GPA è legale nella forma altruistica (scopriremo che è solo apparentemente altruistica) e infine l’Italia dove la GPA è illegale. 

Nel documentario vengono seguite/intervistate due donne sposate in una coppia eterosessuale, un medico, una presidente di un’associazione di famiglie arcobaleno, un avvocato, un professore di diritto, un uomo single, una coppia omosessuale costituita da due uomini, 4 donne inglesi che si sono prestate alla GPA nel loro paese e una “figlia della GPA” . In questo parterre ci sono degli illustri assenti di cui parlerò più avanti.

Il documentario parte dalla Grecia e la prima persona che incontriamo è una donna sposata di 37 anni che non può portare avanti una gravidanza a causa di alcuni fibromi; questa viene ripresa mentre, grazie a una interprete, non essendo lei greca, parla al telefono con una donna che potrebbe essere disponibile a portare avanti una gravidanza dietro compenso. La donna in questione ha 30 anni, è bulgara, ha due figli di 7 e 5 anni e non lavora.

Le riprese fanno emergere alcuni punti fondamentali: il motivo per cui la donna bulgara è disposta a prestarsi è di natura economica e, nello specifico, consiste nel poter accumulare una certa somma per i figli. Quasi tutta la discussione ruota attorno ai soldi; la donna bulgara ha già rifiutato delle offerte  ritenute troppo esigue  e fissa a 25.000 euro il compenso che ritiene congruo per i 9 mesi di gravidanza (a questa cifra andranno aggiunti i costi relativi alla procedura di fecondazione):

“mi sta bene aiutare qualcun altro, ma devo pensare anche a me stessa”.

Più avanti scopriamo che in Grecia la GPA commerciale è espressamente vietata, a dircelo è un medico che spiega anche che le cliniche non dovrebbero occuparsi dell’intermediazione e che la legge prevede che le coppie eterosessuali (le uniche a poter accedere alla GPA) che desiderano esternalizzare la riproduzione devono arrivare nel paese avendo già il contatto di una donna disposta a prestarsi alla procedura. Sappiamo anche da questo documentario che la quasi totalità delle donne che in Grecia si rende disponibile a questa pratica non è greca: ucraine, moldave, rumene, bulgare, insomma le donne migranti, costituiscono la forza riproduttiva della GPA.


Nella porzione di documentario girata in Grecia altre due interviste sono molto interessanti: un uomo single che si dice appartenente alle famiglie arcobaleno e la rappresentante di un’associazione delle famiglie arcobaleno. L’uomo single, racconta che il suo volere una famiglia è emerso in occasione della morte del padre. La morte di uno o entrambi genitori è, nella mia esperienza, un motore molto forte alla riproduzione fra queste, ad esempio,  mia cugina che disse di aver voluto il suo secondo figlio in occasione della morte di mio padre cui lei era molto affezionata. C’è un grande silenzio, sul fronte di chi si oppone alla GPA, riguardo   al cosa spinga le persone a desiderare dei figli:  sembra che il potersi riprodurre con un coito eterosessuale sovrasti tutto, al punto tale da  rendere irrilevanti quei desideri, troviamo invece l’atteggiamento opposto quando la coppia eterosessuale non è presente.

C’è una tenacia quasi ostinata nel voler indagare i motivi e i desideri di genitorialità di chi, per un qualsiasi motivo, non è in una coppia uomo-donna quasi a voler suggerire che la mancanza del legame eterosessuale riveli la natura intrinsecamente egoista di quel desiderio e che questo giustifichi una condanna morale ancor prima che un divieto giuridico. Il discorso è che c’è sempre una spinta egoriferita nel portare avanti una gravidanza o nell’adottare e non vedo perché alcuni dovrebbero risponderne più di altri: o ne rispondono tutti e quindi il desiderio di genitorialità viene indagato nel suo complesso, o non lo si indaga  per nessuno; non possono esistere immunità ideologiche.

Tornando all’uomo del documentario, questi ci racconta che al figlio avuto con GPA , che al momento dell’intervista ha cinque anni e ha iniziato a chiedere perché lui non abbia la mamma, ha scelto di “dire la verità e non raccontare bugie”.

-gli ho raccontato la fiaba di un gentiluomo che piange perché voleva diventare padre e della fatina che lo aveva aiutato perché era un bravo ragazzo e che grazie all’aiuto di due angeli era riuscita a esaudire il suo desiderio.-

Questa è una fiaba non la verità; l’uomo non ha risposto alla domanda “perché io non ho una madre” anzi il suo racconto potrebbe suggerire al figlio che quella domanda non avrebbe dovuto porsela e che nel suo caso non c’è una madre, ma un essere sovrannaturale. Quest’uomo ha reso fantastica la figura della donna che ha portato avanti la gravidanza e ha imposto nell’immaginario del bambino  una lettura  di tipo morale: dicendo che la fatina lo ha aiutato in quanto bravo ragazzo tenta di influenzare  in partenza ogni possibile futuro giudizio morale su quello che ha fatto, senza contare che quella fiaba dice al bambino che lui è un premio per il padre. Questo tipo di racconti è tipico della cultura maschile: la Bibbia è piena di questi avvenimenti, al posto delle fatine c’è Dio che ricompensa gli uomini, i maschi, con figli e altri beni, non di rado sacrificando le donne.

L’altra figura interessante che viene intervistata in Grecia è la presidente delle Famiglie Arcobaleno Stella Belia che ci dice che la legge  sarebbe  inadeguata e che “spinge le persone ad agire illegalmente; la presidente pone persino una questione di classe,  non relativa al fatto che a prestarsi alla GPA siano donne migranti, ma in merito al fatto che solo le persone ricche possono permettersi  di andare all’estero per eludere i paletti “stretti” della GPA altruistica ; afferma, inoltre, che la mancanza di soldi porta alla rinuncia del sogno di un bambino.

Quali dovrebbero essere i provvedimenti dello Stato che permettono a delle persone con limitate disponibilità economiche di accedere alla GPA? Un corpo di donne pagate dallo Stato per dare figli agli altri, magari gestito dal ministero della famiglia? Un simile immaginario è una copia esatta  de Il racconto dell’ancella di Atwood. Ovviamente la presidente dell’Associazione Arcobaleno non fornisce delle soluzioni   sapendo, probabilmente,   che la china si fa molto scivolosa.

La parte di documentario girata in Inghilterra si focalizza sui racconti delle donne che si sono prestate a portare avanti delle gravidanze per altri, alcune tramite l’impianto di ovuli donati da altre donne, altre utilizzando i loro ovuli. Le parole d’ordine di questa parte di documentario sono: felicità, gioia, soddisfazione ripetute incessantemente; queste donne ci rassicurano che per loro è come un lavoro, come fare la baby sitter, vogliono rassicurare chi guarda che le donne che si prestano alla GPA sanno quello che fanno, sono libere e trattano la gravidanza come se fosse un progetto di una ditta individuale: i bambini che hanno generato, anche quelli con cui condividono il dna, non sono i loro figli, non sono come quei figli che già hanno e che hanno visto la madre incinta non tornare a casa con un fratellino dopo il parto; e in effetti per queste donne i “loro figli” (quelli che hanno tenuto) scompaiono quando raccontano il periodo delle “gravidanze per altri”, non ci dicono cosa abbiano  spiegato ai loro figli, gli unici protagonisti dei loro racconti sono i “genitori intenzionali” e anche i registi  non sembrano interessati a come possono aver vissuto questi bambini quei nove mesi, come se non fossero esseri umani coinvolti, ma estensioni della surrogata; è tutto easy, normalized.

La persona più interessante di questo segmento è una giovane donna “frutto” di una GPA che parla della sua esperienza in quanto figlia. Quest’intervista dovrebbe rassicurare sul fatto che i figli nati con questa pratica sono felici e sereni, peccato che la sua esperienza sia  molto diversa dalla realtà materiale della stragrande maggioranza delle GPA. Questa figlia della GPA  non solo conosce l’identità della surrogata, che infatti chiama “mamma di pancia”, ma ci racconta che la  frequenta fin da quando era piccola;  questo legame si estende anche ai figli che questa “mamma di pancia” ha avuto sia come madre sia come surrogatae, non a caso, si riferisce a tutti utilizzando il termine “half-brother”, che corrisponde all’italiano “fratello unilaterale”.

La parte del documentario girata in Italia si concentra, invece, su una donna, in un matrimonio eterosessuale, che non può portare avanti la gravidanza a causa di una malformazione: è nata senza utero; l’intervistata ci dice che ha pensato alla GPA su consiglio  del suo ginecologo e  aggiunge  che a questa opera di convincimento si è poi unito il marito che ha iniziato a mandarle link di cliniche che la praticano in paesi in cui è legale. Una parte considerevole delle riflessioni della donna si concentrano sul racconto relativo a cosa ha significato vivere nella sua condizione: la mancanza delle mestruazioni, il tenere nascosta la sua condizione a chiunque non fosse i suoi genitori e sua sorella. Una cosa colpisce del suo racconto: è stata una domanda della futura suocera a porre la questione in modo pubblico, è stato il chiedere se volesse dei figli con suo figlio.

Questa donna a un certo punto ci rassicura sul fatto che la sua scelta non ha nulla a che vedere con influenze esterne, che non l’ha fatto per porre in qualche modo rimedio al fatto di non poter “dare un figlio al marito”. Le sue affermazioni però stridono con un racconto in cui a farla da padrone sono i desideri e le domande degli altri.

Il documentario supera il limite della propaganda proprio nella parte girata in Italia, mentre viene intervistato un avvocato che perora la causa della regolamentazione della GPA: mentre ascoltiamo la sua arringa su come “in questo paese ci sia un modello di genitorialità patriarcale che va superato” secondo lui tramite  “sdoppiamento della maternità”, davanti agli occhi di chi guarda compare un filmato degli anni 70/80 che ritrae una famiglia operaia composta da padre, madre e tre figli probabilmente di origine meridionale; chi ha girato il documentario voleva che associassimo le parole dell’avvocato all’immaginario familiare più “respingente”: quello della  famiglia di “bassa” estrazione sociale, meridionale. Queste immagini fanno affidamento su quegli stereotipi borghesi e razzisti  di cui la società italiana è ampiamente permeata, ma che vengono ampiamente negati ed evitati. Chi ha girato il film  sperava che aderissimo  alla visione di chi parla perché respingiamo, a un livello incosciente, quelle immagini? Arriviamo, dunque alla questione dei “grandi assenti”.

In ultimo è importante menzionare i grandi assenti del documentario: gli uomini in coppie eterosessuali. Viene data voce alle donne  in qualità o di committenti o di surrogate; gli uomini compaiono o quando sono da soli o quando sono in coppia omosessuale.

I mariti delle committenti non compaiono, non sappiamo nulla del loro desiderio di paternità come se nella coppia eterosessuale la maternità surrogata fosse una “questione femminile”; una prospettiva in cui le donne devono parlare di loro stesse in termini di “difetto di fabbrica” e nell’ottica dell’obbligo di “risarcimento danni” per non essere in grado di portare avanti una gravidanza e “dare figli” ai loro uomini. In fondo l’uomo nella coppia eterosessuale si trova, rispetto alla gravidanza, nelle stesse condizioni in cui si troverebbe se la gravidanza venisse portata avanti dalla moglie/compagna.

E’ chiaro come l’intera faccenda della GPA si giochi soprattutto sul terreno di un’idea patriarcale di maternità intesa come servizio all’uomo e che pertanto laddove il “servizio” non viene portato a termine sono le “compagne difettose” a dover pubblicamente difendere la pratica essendo la causa del mancato servizio.

Cosa succederebbe se a parlare fossero degli uomini pronunciando frasi come “mia moglie non può rimanere incinta, quindi ho pensato di mettere incinta un’altra”?

Nel complesso questo documentario, come molti dei documentari che si occupano di questioni politiche spinose, non vuole porre le condizioni per l’emersione  di un punto di vista autonomo o informato, quanto piuttosto spingere il pubblico a prendere posizione in favore della maternità surrogata in ogni sua forma.

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