Tutto il dibattito sulla maternità surrogata/utero in affitto e usufrutto/gestazione per altri o qualunque altro modo si voglia utilizzare per riferirsi alla pratica di ottenere, anche dietro compenso, che una donna affronti una fecondazione in vitro e porti avanti una gravidanza per poi consegnare il bambino ad altri suscita reazioni contrastanti; non riesco a riconoscermi né in molti discorsi portati avanti da chi si oppone a tale pratica né in quelli portati avanti da chi vorrebbe una sua legalizzazione e regolamentazione.
In questo articolo vorrei limitare il discorso ad alcune affermazioni che mi è capitato di incontrare persino nel femminismo e che alla fine ottengono l’effetto di rafforzare il dominio maschile e il tanto temuto eteropatriarcato capitalista.
Nello specifico faccio riferimento ad alcune macro affermazioni come: “invece di chiedere la GPA dovrebbero chiedere di poter adottare” oppure “una volta la comunità LGBT voleva le adozioni, che c’è? Ora non le volete più?” o ancora peggio “perché gli omosessuali vogliono scimmiottare gli etero?”.
Le prime due frasi trovo che siano fastidiose e incoerenti: fastidiose perché nel primo caso è un dato di fatto che le uniche persone che in Italia hanno la possibilità di adottare siano solo un uomo e una donna legati dal vincolo matrimoniale, quindi invitare ad adottare significa semplicemente liquidare la questione genitorialità per le persone single e in coppie dello stesso sesso con un semplice divieto; incoerenti perché la difesa dell’umanità dei neonati passa da un uso strumentale del discorso delle adozioni.
La prima affermazione fa il paio con gli argomenti utilizzati dai partiti di destra quando vi fu il referendum sulla legge 40. Nei mesi precedenti il referendum sentii ripetere più volte “ma perché non adottate?”.
Sembra sempre che l’adozione debba essere lo sfogatoio delle frustrazioni di chi non può avere figli, un incontro di soggetti miserevoli: il bambino abbandonato e gli adulti difettosi. Con questo non voglio dire che qualunque situazione dolorosa debba necessariamente trovare una soluzione esterna altrimenti la GPA sarebbe una pratica legittima, dico però che c’è una retorica della magnificenza della fecondità e del generare la vita che inquina tutti i discorsi e che viene presentata indirettamente.
Le persone che hanno potuto avere figli col coito eterosessuale senza alcun tipo di problema fanno non di rado trasparire un senso insopportabile di superiorità, un atteggiamento che tutti ovviamente negherebbero a domanda diretta.
Il modo in cui glorificano il loro status di genitore biologico, le parole che usano, la frequenza con cui ne parlano nascondono sentimenti che forse nemmeno loro sanno di avere e che sono visibili a un occhio attento come quello di una persona adottata. I traumi, e le persone adottare hanno vissuto un trauma, spesso acuiscono i sensi e riescono a rendere visibili i non detti, la base immaginativa di alcune affermazioni anche quando questa base non è nemmeno chiara a chi vi attinge.
E’ vero che tante coppie eterosessuali in Italia hanno scelto di adottare perché diversamente non avrebbero potuto diventare genitori ma di certo non è spingendo l’argomento “se non puoi avere figli perché sterile o in una coppia omosessuale adotta e accetta la tua condizione” che si delegittima la pratica della “gestazione per altri/utero in affitto”, mentre si marchierà dolorosamente chi è stato adottato.
Chi viene adottato spesso prova molti sensi di colpa a causa dell’abbandono, a volte può sviluppare una patologica gratitudine nei confronti dei genitori adottivi, altrettanto spesso cresce con una sorta di sottotraccia fantasma che dice “sei un figlio di serie B”, a volte persino di serie Z. Il bambino che “non è stato voluto” ha trovato qualcuno che lo voleva che però si sarebbe ben guardato dall’adottarlo se avesse potuto fare diversamente.
Insomma, ci sono discorsi sull’adozione che alla fine, volente o nolente, finiscono col dipingere i figli e le figlie adottive come le “pietre di scarto” che sono state raccattate per strada da qualcuno di così misero che si doveva accontentare e accettare il limite della propria miseria. L’adozione non può essere brandita politicamente come punizione o ripiego; chi si oppone alla GPA e alla PMA penso dovrebbe farlo senza chiamare in causa le adozioni e avere delle argomentazioni solide autonome contrarie a queste pratiche socio-mediche; il ricorso all’adozione come alternativa è una dimostrazione di mancanza di argomenti.
Lo stesso potrei dire anche di chi, favorevole alla GPA, dice: “visto che non possiamo adottare, usiamo la GPA”. Non è che una discriminazione negativa, come l’impossibilità di intraprendere il percorso adottivo per single e coppie dello stesso sesso, legittima automaticamente comportamenti altri.
Direi che l’argomento “visto che non possiamo adottare…” si incontra perfettamente nel territorio dell’incoerenza con l’argomento “una volta la comunità LGBT voleva le adozioni, che c’è? Ora non le volete più?”; chi pronuncia questo secondo argomento spesso accompagna questa considerazione con uno sperticamento in favore dell’apertura delle adozioni per tutte e tutti.
L’incoerenza sta nel fatto che sia l’una sia l’altra parte, che a parole dicono di volere una modifica della legge sulle adozioni, tirano fuori l’argomento adozione solo per contestare o sostenere la GPA.
Se il fronte delle persone favorevoli all’adozione è così ampio e trasversale basterebbe accordarsi e agire per far nascere comitati per una legge di iniziativa popolare, ma non mi sembra che questa cosa stia accadendo, dunque si tratta dell’ennesima trasformazione delle adozioni in stratagemma retorico per l’ottenimento di altri risultati.
A questo punto rimane l’ultima affermazione “perché gli omosessuali vogliono scimmiottare gli etero”?
In primo luogo questa frase suggerisce che il desiderio dei genitorialità non sia un desiderio umano ma un desiderio di chi è eterosessuale, a meno che non si faccia coincidere l’umanità con chi è eterosessuale; a quel punto però dovremmo discutere dell’immaginario omo-repulsivo di chi la pronuncia perché in sostanza dice: l’essere umano è eterosessuale se non sei eterosessuale non sei umano. Far coincidere il desiderio di genitorialità con l’eterosessualità significa non tenere minimamente in considerazione l’esistenza delle persone bisessuali e porre l’accento sul fatto che l’omosessualità sia una “devianza” (sì proprio devianza) e non una condizione fra le condizioni umane.
In secondo luogo si rende l’eterosessualità la norma tramite cui giudicare i comportamenti umani, quindi diventa una domanda intrisa di eteronormatività in senso stretto.
L’eterosessualità come istituzione socio-politica però è il terreno del dominio maschile che ha relegato le donne alla funzione di fattrici di bambini da consegnare agli uomini: il cognome del padre (come i patronimici e tutte le norme legate alle attribuzioni dei nomi), le leggi ereditarie in favore dei figli maschi, la patria potestà sono tutte manifestazioni di questa riduzione delle donne a funzione strumentale.
“Scimmiottare gli eterosessuali” significa al massimo scimmiottare il potere maschile, ma quel potere non dovrebbe avere a che fare col desiderio di genitorialità.
La GPA non è scimmiottamento del potere maschile, è potere maschile e per contrastarla non può essere contrastata come pratica in modo autonomo ma combattuta come espressione di un continuum di potere; questo richiede un lavoro tanto sulla GPA quanto su tutti i modelli relazionali, sociali, politici che si fondano sulla preminenza dell’uomo come ruolo assoluto e costituiscono lo zoccolo duro del dominio maschile.
In questo senso c’è un comportamento estremamente contraddittorio sia in chi vuole vedere riconosciuta la GPA come pratica legittima e legale sia in chi vi si oppone. Non si può chiedere la legalizzazione e la regolamentazione della GPA e al tempo stesso chiedere l’abbattimento dell’eteropatriarcato perché proprio l’eteropatriarcato ha reso le donne le fattrici di bambini in favore di terzi e i bambini come un mero prodotto di proprietà altrui; una proprietà non solo giuridica ma innanzitutto politica e culturale. Non si può contrastare la GPA sbandierando la difesa della famiglia tradizionale e affermando la “naturalità” dell’eterosessualità.
Non si può nemmeno contrastare la GPA presentandosi come le madri con la M maiuscola, le donne dell’uomo che chiedono l’inversione del potere, rivendicano per loro stesse una patria potestà che deve diventare matria potestà nel perdurare dell’eterosessualità come istituzione e come simbolo di “complementarietà naturale” e quindi in modo intrinsecamente omofobo, lesbofobo e bifobico; sembra che si voglia contrastare la GPA con una donna che si presenta come una donna-conl’uomo producendo una sorta di mistica della maternità che dovrebbe porsi in cima alla scala gerarchica simbolica e politica.
Anche sul terreno di una maternità intesa come matria potestà le due fazioni oppongono due matrie potestà uguali e contrarie che però producono in modo non poi tanto paradossale, l’effetto di nutrire il dominio maschile.
La fazione favorevole alla GPA trasforma il legame madre(gestante)-figlio da un legame esclusivo reale, in cui ci sono due esseri giuridicamente umani al centro della relazione, in matria potestà cioè opera una sorta di involuzione in cui la donna rivendica per sé il potere giuridico esercitato dagli uomini per millenni e quel potere è ottenere la proprietà dei figli; solo se possediamo qualcosa possiamo cederla, donarla, venderla.
Insomma da “l’utero è mio e lo gestisco io” a “il bambino è mio e ne faccio quello che voglio”, come se il bambino non fosse un essere umano ma una parte del corpo della donna anche quando è al di fuori di quel corpo, trattato alla stregua del prodotto di fabbrica in cui la donna pone se stessa come mezzo di produzione e il bambino il prodotto.
Questo atteggiamento ricorda tanto l’affermazione io ti ho fatto, io ti distruggo che appartiene alla cultura popolare.
Nessuna delle due rivendicazioni però riesce a minare il dominio maschile perché nei fatti si mettono a servizio di quello che è il desiderio maschile da sempre: dominare il processo generativo, regolamentarlo e appropriarsi dei piccoli esseri umani come se fossero il prodotto di un processo di produzione portato avanti da uno strumento non da un esseri umani quali le donne sono.
Insomma entrambe le sponde finiscono col rafforzare il dominio maschile proponendo dal un lato un dominio maschile in salsa progressista, quindi un neo-patriarcato strettamente agganciato allo schema capitalista(globalizzato) che promette un ampliamento all’accesso “all’eterosessualità” e dall’altro un patriarcato che riconferma l’antico dominio agganciato ad un capitalismo nazionalista in cui le donne e i bambini sono proprietà/prodotti/strumenti della nazione.
Per quel che mi riguarda, non mi riconosco in nessuna delle due parti proprio a causa di questa polarizzazione che alla fine fortifica solo il sistema patriarcale mentre veniamo illuse di star facendo l’opposto.