Follia e fragilità mentale sono le accuse, insieme a possessione e stregoneria, che nel corso dei secoli sono state scagliate contro tutte quelle donne ritenute troppo libere/libertine/indipendenti. Le basi di queste accuse costituiscono una porzione fondamentale della gabbia del genere.
Il genere “segnala le differenze socialmente costruite fra i due sessi e i rapporti che si instaurano tra essi; genere e sesso sono termini interrelati ma non sinonimi il genere è un processo che trasforma le differenze biologiche in differenze sociali e definisce donna e uomo.”

La storia della medicalizzazione mentale imposta alle donne fin dal XIX secolo è un esempio lampante di come il genere sia il braccio subdolo e violento del patriarcato. Potremmo dire che l’internamento nelle strutture psichiatriche ha preso a pieno titolo il posto del rogo (i motivi per cui si era additate come streghe durante le varie inquisizioni erano gli stessi più o meno del confinamento e medicalizzazione coatta in epoca moderna).
Smorfiose, loquaci, disobbedienti, cattive madri, molte donne furono recluse e torturate nei manicomi di tutta Europa solo perchè non accettavano il ruolo sociale imposto.
In cima a tutte le malattie che venivano diagnosticate al sesso femminile c’era l’ ISTERIA. Una malattia che sanciva come “sesso (psicologicamente) debole” tutte per il semplice fatto di essere femmine e diagnosticata proprio a tutte quelle donne e ragazze che non accettavano il ruolo che la società aveva loro affibbiato.
A subire tale destino erano soprattutto le donne provenienti da ceti sociali medio-bassi e da situazioni personali difficili, ma non sono mancate donne “eccellenti” come Ida Dalser, internata in Italia da Mussolini.
Un abominio di cui abbiamo restituzione grazie al coraggio e al lavoro della giornalista statunitense Elizabeth Jane Cochran che in “Dieci giorni in manicomio” descrive minuziosamente tutto ciò che avveniva dietro le mura degli ospedali psichiatrici.
“Battevo i denti e tremavo, il corpo livido per il freddo che attanagliava le mie membra. All’improvviso, tre secchi di acqua gelida mi furono versati sulla testa, tanto che ne ebbi gli occhi, la bocca e le narici invase. Quando, scossa da tremiti incontrollabili, pensavo che sarei affogata, mi trascinarono fuori dalla vasca. Fu in quel momento che mi sentii realmente prossima alla follia“
Anche sotto il regime fascista la reclusione in manicomio venne utilizzata come punizione per la non aderenza al “genere”, soprattutto quelle ritenute “cattive madri o madri snaturate” spesso segnalate e condotte presso le strutture dalla famiglia . Le cartelle cliniche dell’epoca riportano diagnosi sconvolgenti: parole come “stravagante”, “irosa”, “impulsiva”, “nervosa” ci danno un parametro di quello che era ritenuto “anomalia della femminilità”.

Queste norme di “genere” sono sopravvissute in occidente anche in epoca post bellica, molti stereotipi basati sul sesso biologico derivano dall’isteria: l’espressione hai le tue cose rivolta alle donne per suggerire la loro incapacità di discernimento a causa del ciclo mestruale è proprio uno di quegli esempi di come invece la discriminazione su base sessuale sia ancora viva e più forte che mai.
Un esempio di come questi stereotipi hanno inciso e incidono ferocemente sulla vita delle donne è reso ad esempio dall’accesso negato ad alcune professioni come avvocatura e magistratura anche dopo l’ottenimento del diritto di voto e la possibilità di essere elette. Uno spaccato di ciò ci viene lasciato dalle parole del Primo Presidente di Corte di Cassazione pronunciate nel 1957:
“….Evidentemente il Ministro Moro, o non conosce la donna, o si dimentica della tremenda gravità e difficoltà della funzione del giudicare!
Elementi tutti, che mancano – in generale – nella donna, che – in generale – “absit injuria verbis” – è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal “pietismo”, che non è la “pietà”; e quindi inadatta a valutare obbiettivamente, serenamente, saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti. “
.