Ho il seno grande, da sempre. Lo era anche quando avevo 12/13 anni.
Ho avuto col mio seno un rapporto molto altalenante: sorpresa, odio, fastidio, desiderio di sfruttarlo, ancora odio e infine rispetto ; anche quando le mie amiche dell’autocoscienza mi fanno notare che non si vede, io so che c’è.
Ricordo ancora la sensazione che ho provato quando capii che mi stava spuntando: sentivo sotto la pelle, all’altezza del capezzolo, come un dischetto duro, una massa leggermente gonfia; ricordo che ci giocavo con le dita per capire cosa avrei potuto farmene. Avevo quasi dieci anni. Poi, nel giro di pochi mesi tutto è cambiato, sembrava che qualcosa sotto al mio petto avesse una vita propria, non ero padrona di quello che stava accadendo ma, al tempo stesso, ero meravigliata dalla velocità con cui il mio corpo stava cambiando. Mi stavano spuntando peli ovunque.
Di lì a poco sarebbero arrivate le mestruazioni, quella cosa di cui tutte parlavano di nascosto, spesso interrompendo le conversazioni (erano gli anni 90, non so come sia la situazione oggi).
Col seno però è arrivata la sventura e non sapevo, allora, che quella parte di me avrebbe significato molto più di quanto potessi immaginare e anche contro la mia volontà, contro lo sguardo che avrei potuto avere di me stessa.
All’età di 11 anni, quindi alle scuole medie, imparai che potevo essere ridotta ad una parte del corpo; una delle frasi più ricorrenti che mi venivano imposte era arrivano prima le minne (tette) di lei. Sembrava che non avessi più tutto il resto di me: ero le mie tette. Se ci penso oggi lo trovo terrificante, ero una bambina ma quel seno faceva di me un oggetto di desiderio sessuale assolutamente passivo. I miei coetanei maschi iniziavano a dire cose terribili sulle femmine: allusioni, battute e invasioni di spazio.
E le tette erano in cima alla lista delle cose cui volevano accedere.
Ora che ci penso bene, quando arriva la pubertà, i maschi scoprono il loro sesso nel pene e le femmine nel seno. Il seno è il sesso femminile durante la pubertà, è quello che ci qualifica in quanto femmine. La vulva arriva molto dopo, la clitoride non ne parliamo.
Questa riduzione a tette ambulanti si accompagnò con l’ingresso di un’altra cosa: la morale, una doppia morale, per le femmine e per i maschi.
Per quel che riguarda i maschi era come se qualcuno li avesse incoronati come dominatori dello spazio pubblico; potevano fare e disfare tutto, comportarsi come volevano, usare il loro sesso pubblicamente in modo esplicito e con le allusioni.
Noi femmine invece dovevamo iniziare a nasconderci; con l’arrivo delle tette imparai che dovevo stare attenta a come mi comportavo, ma come mi comportavo era comunque irrilevante perché se un maschio voleva esercitare, anche solo con le parole, il suo potere su di me poteva farlo, ma se un maschio faceva allusioni significava che io, con la mia sola esistenza, avevo fatto qualcosa per attirare quelle allusioni.
E le tette erano in cima agli argomenti allusivi. Come ho detto: ero le mie tette e il mio sesso erano le tette.
In tutto questo sconvolgimento gli adulti, con in cima mia madre, non furono di grande aiuto.
Mia madre diceva che il mio seno era volgare proprio perché molto grande e mi ha invitata, per usare un eufemismo, a portare sempre vestiti molto accollati. Una volta, per una festa di 18 anni, mi fece comprare, in compagnia di mia zia, un vestito che sembrava un sacco nero, che lei chiamava tubino, che mi faceva sembrare un tubo delle smarties. Ebbi il divieto di comprare canotte con le bretelline.
Purtroppo la visione di mia madre coincideva perfettamente con gli sguardi viscidi e le allusioni non solo dei miei coetanei maschi, ma anche con quella dei maschi adulti. Se hai le tette devi subire lo sguardo altrui.
Lo sguardo maschile era rivoltante indipendentemente dall’età (dal 15 enne al 70enne): lo sentivi sulla pelle, ti faceva a porzioni, ti spacchettava, ti scrutava, ti vivisezionana. Era allusivo e giudicante allo stesso tempo: voleva accedere al tuo corpo, voleva poter dire su di esso quello che più gli pare ma si aspettava la reazione di una integerrima monaca di clausura. Quelle che mostravano compiacimento erano delle zoccole.
Ci sono stati periodi in cui avrei voluto ridurre chirurgicamente il seno e mia madre sembrava essere d’accordo con me; non vedevo quanto odio provassi per me stessa e quanto questo odio fosse legato non al mio corpo ma quello che gli altri potevano fare del mio corpo sia con le parole sia con le azioni. Io volevo solo sbarazzarmi di quel trastullo sessuale altrui, quel mio sesso, che avevo poco sotto al collo. Per fortuna non sono arrivata a tanto.
Poco dopo i vent’anni ho deciso che potevo fare buon viso a cattivo gioco e che avrei potuto sfruttarlo, mi stavo illudendo di potermi godere quella condizione di attrazione sessuale.
Mi illudevo di poter esercitare un potere a mia volta: se loro (i maschi) volevano le mie tette, allora io avrei dato le tette ma alle mie condizioni. Purtroppo quando sei femmina non sono mai le tue condizioni, anche se ti sembra così. Il vero potere lo possono esercitare i maschi perché loro possono agire senza subire un giudizio morale negativo o, ancora peggio, senza che qualunque loro movimento poi diventi un “se l’è cercata”.
Non so quante volte ho desiderato di poter andare in giro libera come i maschi, non dico a petto nudo (cosa che mi sarebbe piaciuta molto) ma con la tranquillità di non subire quello sguardo, senza sentire di essermi fatta richiamo sessuale, senza incontrare gli sguardi di disapprovazione anche se sei coperta fino al collo. Una coppa D (una quarta) non la nascondi nemmeno col sacco dell’immondizia.
E no, non è normale quel tipo di sguardo, non è naturale o immodificabile. Lo sguardo, la postura del corpo è un esercizio di potere.
Sono bisessuale e il seno piace sessualmente anche a me , eppure non vado in giro a guardare le tette delle donne, non smetto di guardarle negli occhi mentre mi parlano per farmi il mio personale filmino porno.
Dunque perché non insegnare anche agli uomini ad abbassare lo sguardo? A non essere invasivi e irrispettosi? Perché i padri accettano di vedere crescere i figli come dei trogloditi maniaci sessuali incapaci di rispetto?
Quanto al mio seno, alle mie tette, oggi ho finalmente un rapporto di non odio: sono lì. Non le amo e non le odio. Sono una parte di me e io sono mia, non un bene pubblico a disposizione delle pretese altrui.