In questa compressa e vorticosa campagna elettorale ogni tema diventa una meteora catapultata in faccia alle elettrici con una velocità che mostra tutta l’inconsistenza e la fragilità del pensiero di chi si candida a guidare l’Italia.
Un’inconsistenza e una fragilità che diventa drammaticamente palese quando il tema lo diventano le donne e quindi il corpo femminile. I tempi contingentati mostrano come le donne siano state per buona parte della classe politica (soprattutto maschile) una moneta di scambio: un simbolico voto di scambio in cui le donne diventano la merce (per dirla con Irigaray*) politica da vendere alle donne stesse. Dico soprattutto maschile per il semplice fatto che le donne non ci guadagnano mai dal rendersi merce perché condividono quel corpo femminile oggetto di strumentalizzazione e pertanto qualsiasi perdita sarà sempre anche loro.
La vera novità di queste elezioni è la concreta possibilità che a prevalere, e quindi a diventare Presidente del Consiglio, sia una donna. Questa presenza tanto basta per far sbandare non tanto le donne comuni (che probabilmente sanno già cosa votare o se non votare) quanto la schiera di donne che o fa politica (partitica) o fa parte del movimento di liberazione della donna (femminismo) o, in alcuni casi, entrambi. In tal senso non penso che la questione sia Meloni sì o Meloni no, ma quale visione di donna e quale posto essa occupi nel mondo.
Non riporterò né commenterò direttamente le varie posizioni che ho letto, sebbene mi senta molto vicina al decalogo alla cui stesura hanno lavorato le ecofemministe Monica Lanfranco e Laura Cima; preferisco non commentare perché non trovo proficuo inquesta sede esporre il mio pensiero in opposizione o in aderenza ad altre donne.
Il femminismo, infatti, non è uno e statico, ma una pluralità di posizioni che insieme dovrebbero portare alla liberazione di tutte; questo non significa che ogni cosa scritta sia femminista, ma che ogni donna può concorrere a mettere il suo pezzettino sulla strada della nostra liberazione personale prima di tutto e poi politica, proprio in quest’ordine.
Tornando al corpo delle donne…

Il corpo delle donne è uno e al tempo stesso è relativo e plurale (per usare un’espressione di Daniela Pellegrini) e solo in questa sua multiformità è possibile fare femminismo. La politica invece fa a pezzi le donne il loro corpo e ne utilizza parti in base all’ideologia che vi sta dietro.
Per questo motivo penso che Carla Lonzi abbia voluto tenere lontana la sua attività dalla “politica politicante”, perché sapeva che la prassi partitica avrebbe lasciato per strada alcune donne per favorirne altre.
D’altro canto non credo che sia realisticamente pensabile (e forse nemmeno auspicabile) che nessuna donna partecipi alla politica in senso partitico e istituzionale; pertanto è per me necessario che in politica ci siano donne con un autentico percorso femminista, prima di tutto personale e poi politico, le cui politiche non finiscano col servire una più tiepida “lotta per la parità” (senza quindi perseguire una reale liberazione) e magari convincendosi, nel farlo, di essere femministe.
Una delle novità di questa tornata politica è che la destra (sospetto con l’aiuto sottobanco di “esperte della materia”) ha iniziato a usare, tramite la voce di Giorgia Meloni, alcuni dei temi del femminismo per portare avanti in modo camuffato l’agenda conservatrice e quindi patriarcale per definizione. Se, infatti, è vero che la destra (sia quella conservatrice sia quella liberale) si occupa delle madri (quali madri e quale maternità?) o presenta DDL per il contrasto alla GPA/Utero in affitto, al tempo stesso e per gli stessi motivi si oppone a una maternità radicalmente slegata dalla relazione erotico/romantica/socioculturale con l’uomo portando avanti una visione “socio-eterosessuale” della donna. Questa visione eteronormata (cioè che LA coppia NATURALE sia quella uomo-donna, esattamente in quest’ordine in tutti i sensi) porta anche alla negazione delle adozioni per donne single e in coppie omosessuali. La donna difesa dalla destra è lontana anni luce dalla donna liberata/che si libera: è la donna madre maestra di abnegazione (come più volte sottolineato da Giorgia Meloni e da tutta Fratelli d’Italia), che persegue le proprie aspirazioni finché queste non mettono in discussione IL maschio e il suo posto preminente e prestigioso cui si deve deferenza e riconoscimento tanto nel privato quanto nel pubblico.
Accenno brevemente che proprio gli stessi motivi, ben camuffati, consentono alla destra di non opporsi apertamente ad aborto e divorzio, ma di erodere materialmente le condizioni che rendono possibile sia l’abortire sia il divorziare: da un lato lasciando che gli antiabortisti si infiltrino in modo massiccio nei percorsi dei consultori (come fatto in passato nella Regione Lazio e oggi nella Regione Marche a guida FDI) e dall’altro usando proprio l’arma della parità contro le donne stesse in caso di divorzio, imponendo una perequazione fasulla fra l’investimento che le donne fanno nella genitorialità e l’investimento maschile (legge 54 del 2006 docet) e tentando di insinuare l’alienazione genitoriale (e tutte le sue riformulazioni) nel codice civile.
In tal senso Carla Lonzi era stata molto chiara quasi 50 anni fa:
Senza l’abolizione dello schema sessuale maschile e senza una presa di coscienza
della donna vaginale non esiste femminismo. E il patriarcato, come epoca storica, è
ancora al riparo dalla fine. Significa infatti che il matrimonio resisterà come modello
di rapporto poiché viene contestato soltanto come istituzione e non come ruoli
sessuali e struttura di coppia.
Ed è qui che casca l’asino della sinistra. I partiti che vanno dal comunismo al progressismo nel corso degli anni hanno consentito alle donne di ottenere delle briciole senza mettere minimamente in discussione il dominio maschile e portando le donne a pensare che quelle briciole (che erano il minimo sindacale) fossero i grandi passi avanti verso, appunto, la parità e non la liberazione. Una strategia così magistrale che ha impegnato le donne a tal punto da portarle lontano dalla “coscienza di sé”: uno degli effetti evidenti è l’abbandono della pratica dell’autocoscienza in favore della doppia militanza (errore in cui sono incappata anche io) e del tentativo spasmodico di trovare un’alleanza con il maschile (sia politica che culturale).
La sinistra infatti oggi dà per buona e superata la differenza sessuale, come se corpi diversi possano diventare identici, e agisce di conseguenza restituendo una proposta politica schizofrenica.
Un esempio è dato dalle proposte sulla maternità: da un lato annullano la differenza fra madri e padri perché, come i conservatori, si rifiutano di immaginare e riconoscere una maternità radicalmente libera e indipendente (farlo avrebbe un costo economico e sociale enorme) e dall’altro non possono ignorare l’esistenza e la condizione particolare delle madri e finiscono col rattoppare una trama patriarcale ed eteronormata. La sinistra dunque è eteronormata quando, usando strumentalmente la parità, parla di conciliazione lavoro-famiglia e di sempre più ampi congedi di parternità, al grido di “è ora che anche i padri si occupino dei figli per lasciare libere le donne”.
I pasticci della sinistra, però, non si fermano alla maternità.
L’annullamento della differenza sessuale ha portato la sinistra a fare le battaglie del movimento gay dando ampio spazio quindi agli uomini omosessuali e alle loro richieste. Le lesbiche e alcune bisessuali hanno trovato spazio e riconoscimento fintantoché hanno accettato il ruolo subalterno al simbolico maschile; quindi finché l’agenda maschile omosessuale veniva rispettata, le lesbiche vedevano la loro voce ascoltata, non appena alcune lesbiche e bisessuali hanno posto la differenza allora sono state ostracizzate e condannate al silenzio e all’oblio. Nulla di nuovo sul fronte patriarcale.
La richiesta di regolamentazione dell’Utero in affitto/GPA è esattamente una forma di eteronormatività e propone in salsa progressista il “non lo fo per piacere mio ma per dare figli a Dio”, solo che questa volta Dio ha finalmente tolto la maschera ed è il maschio della specie (etero, bi o gay che sia). Le donne donano i figli agli uomini e sono felici di farlo e si realizzano in questo loro ruolo di fattrici degli uomini, come una volta ma in modo più cool: un tripudio di eterosessualità obbligatoria, insomma.** (nota in fondo alla pagina)
La grande trappola della sinistra è quella di aver convinto le donne che l’autodeterminazione sia il dogma su cui fondare ogni scelta politica e ogni legge. Se dici che vuoi farlo la sinistra darà per buono che tu sia nelle condizioni di operare una libera scelta e non è importante l’impatto che quella singola libera scelta ha sulla collettività e su principi come ad esempio di inviolabilità della persona o sulle altre donne: ciascuna pensi, forse, per sé e tutte per nessuna (Carla Ravaioli non a caso parlava della “donna contro se stessa”).
Sinistra e destra sono diversamente, ma ferocemente individualiste e capitaliste.
Ma il femminismo non può essere individualista e quando lo diventa, e quindi arriva a rivendicare solamente la scelta personale, fa venir meno la coscienza collettiva delle donne, cioè esattamente quello per cui ha lavorato per quasi un secolo il movimento femminista.
Una larga fetta della sinistra, inoltre, propone una definizione (culturale e che vuole farsi giuridica) di donna aleatoria e contraddittoria: aleatoria perché costantemente ri-definibile da chiunque (attraverso la definizione circolare “donna è chi si sente donna”), contradditoria perché nel voler apparentemente superare la “donna patriarcale” della destra finisce per ridefinirla usando i suoi stessi parametri.
Negli ultimi anni, così facendo, ha di fatto mandato al macero una tradizione di pensiero e di lotta delle donne (che va dalle suffragette ad Angela Davis) avallando una definizione di donna che si fonda su tutto ciò contro cui queste hanno lottato.
Nello specifico propone una definizione che si basa sulla percezione individuale (alienando le donne dalle altre) e sul giudizio esterno del riconoscimento sociale che si regge su stereotipi e cioè sulla “femminilità” contro cui hanno scritto e si sono pronunciate donne come De Beauvoir, Belotti, Lonzi, ma in generale la maggior parte delle femministe che hanno voluto lottare a favore della reale liberazione femminile (e per cui il concetto di donna unicamente come costrutto stereotipato era uno degli obiettivi da abbattere).
In sostanza la sinistra punta a una parità eteronormata e sostanzialmente reazionaria che prova a spacciarsi per progresso, limitandosi in realtà a cambiare l’ordine degli addendi e finendo col rafforzare il vecchio e appesantirlo con del “nuovo”.
Una dimostrazione di questo è data dal fatto che sia a destra sia a sinistra si propongono DDL per mantenere in piedi il sistema prostituente: da un lato la destra vorrebbe la riapertura delle case chiuse (quindi la prostituzione a doppio controllo maschile in modo gerarchico), dall’altro la sinistra vuole che diventi un business che rende le donne delle professioniste “del mestiere più antico del mondo” sventolando la bandiera dell’autodeterminazione e condannandole a mettere i loro corpi e la loro sessualità nelle disponibilità delle leggi del mercato (domanda-offerta) con tutto quello che ne consegue. Quindi nessuno dei due fronti pensa di rompere con millenni di sfruttamento sessuale delle donne (perché nei grandi numeri di questo si tratta) a vantaggio dei desideri, dei capricci e del dominio maschile: gli uomini, infatti, in entrambi i casi potranno continuare a possedere e acquistare le donne in modo perfettamente legale e le donne potranno continuare a essere merci.
In conclusione, penso che sia inutile arrovellarsi su quale partito, candidata o candidato possa rappresentare al meglio la questione femminile; piuttosto penso che il femminismo dovrebbe recuperare e portare avanti la tradizione della presa di coscienza nella consapevolezza che la liberazione personale delle donne prima o poi diventerà liberazione politica. Quante più donne intraprenderanno un percorso di liberazione personale tanto più semplice sarà la difesa e l’applicazione delle conquiste giuridiche, sociali e culturali.
*Questo sesso che non è un sesso (1977)
** nell’accezione originaria data da A.Rich
il potere degli uomini
- negare alle donne la [nostra] sessualità
[per mezzo di clitoridectomia e infibulazione; cinture di castità; punizione, inclusa la morte, per l’adulterio femminile; punizione inclusa la morte, per la sessualità lesbica; la negazione psicoanalitica della clitoride; restrizioni contro la masturbazione; negazione della sensualità materna e postmenopausale; isterectomia non necessaria; immagini pseudolesbiche nei media e nella letteratura; chiusura di archivi e distruzione di documenti relativi all’esistenza lesbica];
- o per forzarla [la sessualità maschile] su di loro
[per mezzo dello stupro (compreso lo stupro coniugale) e delle percosse alla moglie; incesto padre-figlia, fratello-sorella; la socializzazione delle donne a sentire che la “pulsione” sessuale maschile equivale a un diritto; idealizzazione del romanticismo eterosessuale nell’arte, nella letteratura, nei media, nella pubblicità, ecc.; matrimonio infantile; matrimonio combinato; prostituzione; l’harem; dottrine psicoanalitiche della frigidità e dell’orgasmo vaginale; rappresentazioni pornografiche di donne che rispondono con piacere alla violenza sessuale e all’umiliazione (un messaggio subliminale è che l’eterosessualità sadica è più “normale” della sensualità tra donne)];
- dominare o sfruttare il loro lavoro per controllare il frutto della loro capacità produttiva
[attraverso le istituzioni del matrimonio e della maternità come produzione non retribuita; la segregazione orizzontale delle donne nel lavoro retribuito; l’esca della donna simbolo della mobilità verso l’alto; controllo maschile dell’aborto, della contraccezione e del parto
sterilizzazione forzata; il pappone; l’infanticidio femminile, che deruba le madri figlie e contribuisce alla svalutazione generalizzata delle donne it];
- controllare o privarle dei loro figli
[per mezzo del diritto paterno e del “rapimento legale”;
sterilizzazione forzata; infanticidio sistematizzato; sequestro di bambini da madri lesbiche da parte dei tribunali; la malpractice dell’ostetricia maschile; l’uso della madre come “torturatore simbolico” nella mutilazione genitale o nel legare i piedi (o la mente) della figlia per adattarla al matrimonio];
- confinarle fisicamente e impedire i loro movimenti
[con lo stupro come terrorismo psicologico, tenendo le donne lontane dalle strade; purdah; legatura dei piedi; atrofizzazione delle capacità atletiche delle donne; l’haute couture, codici di abbigliamento “femminile”; il velo; molestie sessuali nelle strade; segregazione orizzontale delle donne nel lavoro; prescrizioni per la maternità “a tempo pieno”; dipendenza economica forzata delle mogli];
- usarle come oggetti nelle transazioni maschili
[uso di donne come “regali”; prezzo della sposa; sfruttamento della prostituzione; matrimonio combinato; uso di donne come intrattenitrici per facilitare gli affari maschili, per esempio, moglie-ospite, cameriera di cocktail obbligata a vestirsi per la titillazione sessuale maschile, ragazze squillo, “conigliette”, geisha, prostitute kisaeng, segretarie];
- per limitare la loro creatività
[le persecuzioni della stregoneria come campagne contro ostetriche
guaritrici e come pogrom contro le donne indipendenti e “non assimilate” donne; definizione delle attività maschili come più preziose di quelle femminili all’interno di qualsiasi cultura, così che i valori culturali diventano incarnazione della soggettività maschile; restrizione dell’auto-realizzazione femminile al matrimonio e alla maternità; sfruttamento sessuale delle donne da parte di artisti e insegnanti maschi; la distruzione sociale ed economica delle aspirazioni creative delle donne; cancellazione della tradizione femminile]; e
- il negare loro ampi settori del sapere e delle conquiste culturali della società
[attraverso la non istruzione delle donne (il 60% degli analfabeti nel mondo sono donne); il “Grande Silenzio” sulle donne e in particolare sull’esistenza delle lesbiche nella storia e nella cultura; gli stereotipi sui ruoli sessuali che distolgono le donne dalla scienza, dalla tecnologia, e altre attività “maschili”; il legame sociale/professionale maschile che esclude le donne; discriminazione contro le donne nelle professioni].