Tempo fa ho trovato sul pavimento del bagno uno dei gambaletti che solitamente indosso sotto i pantaloni nel periodo primaverile: giaceva a terra privo del suo compagno, ovviamente. Quel calzino ha innescato un meccanismo di recupero di ricordi concatenati e di una riflessione in proposito.
Il mio ex compagno era nauseato dai gambaletti, un disgusto che mi ha esplicitato più volte nel corso degli anni. In effetti non gli piaceva nemmeno il colore dei collant velati (nudes per l’esattezza): a lui piacevano neri, a me no. Una preferenza che non ha mai nascosto e che anzi reiterava ciclicamente, mentre lui si riteneva in diritto di andare in giro coi calzini bucati e vecchi di anni che gli cadevano costantemente creando un groviglio indistinto di calzino morto a causa dell’usura della fascia elastica; li indossava consumati nonostante avesse nel cassetto molte paia di calze nuove mai utilizzate.
Le sue “preferenze”, che di fatto erano delle richieste, non si limitavano alle calze: più volte mi ha suggerito di andare dall’estetista per mettere lo smalto semipermanente e farmi crescere le unghie; gli piacevano i tacchi vertiginosi (soprattutto quelli col plateau), le gonne corte, i vestiti scollati. In sostanza a lui piaceva mostrarmi all’universo mondo come “merce di qualità” di proprietà esclusiva. Vorrei sottolineare che lui non ha mai affermato espressamente che fossi un suo oggetto di proprietà ma ha ammesso di essere soddisfatto (anche da un punto di vista di eccitazione sessuale) di vedere gli sguardi degli altri uomini su di me e di poter implicitamente mostra che fossi sua (e solo gli oggetti possono essere posseduti e messi in mostra). Dal mio canto evidentemente avrei dovuto sentirmi gratificata dall’essere un oggetto sessualmente appetibile di sua proprietà, eppure ero – e sono- una persona.
Ma non è finita qui.

Nel corso degli anni ho smesso di depilarmi sia le gambe sia le ascelle durante l’autunno e l’inverno, fatto per me liberatorio e che mi permise di risparmiare tempo e denaro e dolore fisico.
Avevo smesso di sentire il dovere di depilarmi per fare un piacere a lui; dopotutto a mia volta accettavo i peli che lui aveva sulle gambe e sotto le ascelle. Mi aspettavo di rispetto e reciprocità.
Non fu così. Era immotivatamente disgustato dalla cosa e lo era al punto tale da arrivare a chiedermi esplicitamente di depilarmi almeno le ascelle, aggiungendo che la cosa gli facesse un po’ schifo. Quell’affermazione mi ferì molto, mi fece sentire brutta, indesiderabile e sbagliata; nonostante questo non mi depilai, non ricordo quale fu la mia reazione a questa sua richiesta ma molto probabilmente mi arrabbiai.
Confrontandomi con le altre donne ho ascoltato tutto il loro senso di frustrazione legato al sentirsi obbligate a corrispondere agli standard di bellezza per compiacere gli uomini e per obbedire ai canoni estetici ispirati al desiderio (sessuale) maschile. Sono abbastanza convinta che siano veramente poche quelle che si depilano perché lo desiderano.
Il desiderio maschile vuole il corpo della donna completamente glabro e liscio come se fosse quello di una bambina di 7 anni (vulva compresa), vuole le donne truccate e vestite sempre secondo il desiderio maschile (dalla donna borghese, alla giovane dark-emo, alla studentessa attivista alternativa, all’operaia con unghie con semipermanente).

All’inizio di questa riflessione ho parlato di richieste camuffate da apprezzamenti o preferenze, per il semplice fatto che non esiste un corrispettivo maschile che le donne pongono ai loro compagni: lavarsi non è una gentile concessione, è un fatto di decenza e decoro. Da bisessuale trovo tutto questo molto odioso perché non mi permetterei mai di fare commenti, osservazioni e allusioni su come si dovrebbe truccare, vestire o pettinare la donna con cui ho una relazione stabile e, aggiungo, che il mio desiderio per lei non dipenderebbe da questo.
Una delle cose che ho notato è che queste richieste di tipo estetico non sempre arrivano in modo diretto, anzi direi proprio il contrario: arrivano in modo indiretto tramite gli apprezzamenti sulle altre donne o sul silenzio davanti ai loro simili che fanno apprezzamenti*. La versione peggiore di tutte, e probabilmente quella che ci fa più male e ci costringe a prendere “provvedimenti”, è lo sguardo libidinoso che gli uomini riservano a qualunque donna opti per un outfit più o meno sessualizzato (indipendentemente dallo stile, visto che ogni stile ha la sua oggettificazione). A quel punto, spesso, scattano il senso di colpa e la paura di essere lasciate per “qualcosa di meglio” e iniziamo a correre ai ripari adeguandoci e sforzandoci. Questa operazione la mettiamo in atto magari ripetendoci che lo stiamo facendo per noi stesse, che così ci sentiamo meglio, che è sintomo di autostima, che ci stiamo prendendo cura di noi stesse**.
Questi meccanismi sono possibili perché fin da piccole veniamo allevate a ritenere la bellezza non tanto un valore, quanto un parametro per essere giudicate dagli altri e prima di tutto per giudicare noi stesse.
Vogliamo essere belle e per esserlo dobbiamo esserlo per gli uomini. Avete notato che molto spesso le donne, quando si scambiano fra di loro complimenti sotto il profilo estetico, sottintendendono sempre “così piacerai ai maschi“? Quando una ragazza chiede “come sto?”, in realtà sta chiedendo “piacerò ad almeno un uomo?” ed è a questa domanda che le amiche risponderanno di sì o di no.
Il capitalismo è un sistema intrinsecamente misogino perché fa profitti sul nostro senso di colpa, sul nostro sentimento di inadeguatezza; fomenta il rapporto conflittuale col nostro corpo e alimenta il conflitto fra donne. Per essere efficace deve però agire in modo mascherato e quindi ci pone la cosa in modo positivo e propositivo: ci dice che con quel rossetto, con quel vestito o quelle sopracciglia rifatte raggiungeremo finalmente una serenità interiore che spesso abbiamo difficoltà a trovare e torneremo ad avere il sorriso, perché in fondo noi valiamo ma modificando il nostro corpo***.
Nel corso del tempo sono arrivata alla conclusione che nella generalità dei casi agli uomini le donne non piacciano veramente, a loro piace e sono eccitati dall’idea sociale e stereotipata di donna: quest’idea di donna non è univoca ma si adatta alle località geografiche, alle culture, alle classi sociali e ai contesti politici.
Il meccanismo della norma estetica è profondamente perverso e subdolo.
Quanto agli uomini è evidente che manchi loro l’onestà e il coraggio di fare autocoscienza, sono incapaci di mettersi in discussione e di guardarsi con autenticità allo specchio. E in fondo perché dovrebbero farlo quando questo per loro significherebbe perdere i vantaggi, le soddisfazioni e le gratificazioni che millenni di dominio maschile continuano a garantire loro?

*Devo ancora incontrare 100 uomini che dicano: ma che stai dicendo, le donne sono belle al naturale, peli compresi.
** purtroppo il rovescio della medaglia è che cresciamo col ritenere giusta la gratificazione che proviene dalla competizione con le altre donne e nello specifico dal far sentire più brutte le altre donne.
*** Aggiungo un’ulteriore elemento. Avete notato quante barzellette, battute e meme esistono sul fatto che le donne perdano tempo o siano sempre in ritardo perché devono prepararsi per uscire. Quindi non solo le donne devono passare dai 20 ai 40 minuti per prepararsi per uscire e compiacere lo sguardo maschile, ma devono anche sorbirsi il dileggio e la derisione sociale e culturale.