Vogliamo anche le rose: la storia del femminismo e del personale che si fa politico.

Il documentario Vogliamo anche le rose, diretto dalla regista Alina Marazzi, ripercorre i passi del movimento di liberazione della donna negli anni ’70. Un lavoro straordinario che già dalla sua impostazione prova a rendere l’autenticità di quello che sono stati quegli anni: dalla pratica dell’autocoscienza e al lavoro di presa di coscienza individuale, ai discorsi sulla liberazione sessuale (che non è semplicemente libertà sessuale) passando per le pratiche e le azioni politiche che hanno intrapreso le donne (dalla nascita dei collettivi fino al discorso sull’aborto).

Negli 85 minuti si alternano filmati dell’epoca delle Teche Rai e della cineteca di Bologna, film sperimentali, lettere, interviste e conversazioni delle donne (e degli uomini) di quell’epoca, il tutto innestato sul corpo centrale costituite dal racconto di tre percorsi individuali di donne trasposti in forma di diario.

Il diario di Anita che racconta la difficile emancipazione dalla famiglia e da un padre oppressivo di una giovane adolescente milanese degli anni ’60.

ma come si fa a vivere fuori dalle convenzioni sociali?

Il diario di Teresa che descrive la parabola psicologia e fisica di una ragazza pugliese che scopre prima la sua sessualità e poi si ritrova ad abortire clandestinamente con tutto quello che ne consegue sia in relazione all’aborto sia al corpo;

io ho diritto alla libertà, conquistata non con la menzogna, ma con coraggio e dignità

Il diario di Valentina riporta l’esperienza di una femminista romana divisa tra amore e militanza.

Il diario è parte integrante della cultura femminile, probabilmente l’esercizio creativo che tutte – almeno fino a qualche anno fa – hanno sperimentato almeno una volta. Proprio il diario è stato il mezzo con cui le donne negli anni ’70 si sono approcciate all’autocoscienza. Taci, anzi parla è il diario di Carla Lonzi, Autocoscienza è il diario di Alice Martinelli (che fece parte di Rivolta Femminile), la Pelle Cambiata di Verena Stefan.

Il docufilm è letteralmente una traduzione cinematrografica de “il personale è politico”, una sorta di voce enciclopedica visiva capace di spiegare cosa significhi “personale” e perché, come e quando il personale diventa politico.

Il diario è un tipo di espressione che potremmo definire separatista, come separatista lo è la pratica dell’autocoscienza. E proprio il diario dovrebbe far capire come il separatismo sia qualcosa di molto potente: tutte in un qualche modo sanno che solo prendendoci uno spazio privo di giudizio, commenti e intromissione maschile riusciamo finalmente dare espressione a ciò che teniamo ingabbiato dentro e riusciamo sbrogliare la matassa delle nostre esistenze.

Il personale è politico è stato anche il fondamento di una parte considerevole della produzione artistica del femminismo e non avrebbe potuto essere altrimenti se pensiamo che la liberazione della donna altro non è che porsi come soggetto prima di tutto per sé stessa e poi nella relazione col mondo.

Le immagini che Marazzi ci compone in un fiume di esistenze di donne si alternano fra il privato e il pubblico, due dimensioni che non sono mai autonome: le interviste che avvengono fra le mura domestiche (come quella della ragazza di famiglia o quella delle donne sposate) riportano sempre ad un fuori, ad un pubblico che viene loro negato o limitato; mentre nelle interviste che si svolgono nei luoghi pubblici si parla di privato.

Il senso del separatismo, che in parte emerge in questo documentario, è quello del luogo altro in cui “ri-generarsi“, un ri-mettersi al mondo in modo autentico e come soggetto; non un semplice ricaricare le batterie per ritornare al quotidiano come prima, ma un movimento trasformativo circolare che parte da ciascuna donna, arriva alle altre e ritorna alla fonte in forma nuova. Questo percorso non può però essere individuale né avere l’individualismo come orizzonte.

Le immagini dei locali vuoti che in precedenza erano stati abitati e fecondati da tante donne sono infine un simbolo di ciò che rischiamo di perdere se non perseveriamo nel porci come soggetti insieme alle altre.

“Io dico io (…) l’autocoscienza è l’altra” C. Lonzi

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