Le sfide dell’ occupazione femminile: fra dati reali e retorica del soffitto di cristallo

Negli ultimi dieci anni tutto il discorso sul lavoro femminile si è quasi del tutto esaurito intorno alla questione del divario retributivo e dei ruoli apicali. Generalmente tutti gli articoli che trattano il tema iniziano così “le donne studiano di più, sono più brave a scuola ma sono penalizzate sul lavoro”.

Tutto questo fa il paio con la retorica dell’ empowerment, della realizzazione professionale e del soffitto di cristallo, una retorica che sembra completamente ignorare il baratro sociale ed economico in cui vivono permanentemente ragazze e donne e la pressione verso il basso che la pandemia legata al COVID rischia di diventare ancora più forte e con effetti di lunga durata.

I dati della tabella qui sotto, vi accompagneranno per tutta la lettura.

In effetti quando si parla di dati relativi all’occupazione femminile si riporta per lo più il dato complessivo, per il 2019 era il 50,1% ( dati Istat ), limitandosi a dire che lavora circa la metà delle donne. In effetti il 2019 è stato il primo anno ad aver visto l’occupazione femminile oltre il 50% dopo oltre 10 anni.

Ma se proviamo a guardare “dentro” quell’occupazione si capisce bene che più che abbattere il soffitto di cristallo dovremmo chiudere la voragine sotto.

E’ chiaro quindi che il basso tasso di occupazione femminile in Italia non riguarda le laureate e che anzi buona parte della battaglia per il lavoro delle donne e delle ragazze si gioca sul terreno delle diplomate e di coloro che hanno il diploma di scuola media.

Solo 3 donne su 10 con diploma di scuola media lavora, con il Sud che vede meno di 2 donne su 10. La situazione migliora per le diplomate che vanno da un 65% del Nord d’Italia al preoccupante 38% del Sud. Le laureate invece registrano tassi molto vicini alla media europea da un 81% al Nord e il 65% al Sud.

Ma non è solo il tasso di occupazione ma anche il tipo di occupazione a rappresentare un problema. Le donne/ragazze costituiscono il 70% di tutti i part-time involontari presenti in Italia e sono inquadrate in un part-time involontario il 19,5% di tutte le lavoratrici.

Quindi quasi 2 donne su 10 sono costrette ad un part-time che non hanno scelto con conseguenze gravissime non solo sull’indipendenza economica nell’immediato ma anche sul lungo periodo: con un sistema pensionistico totalmente contributivo con meccanismi complicati queste donne e queste ragazze saranno anziane povere e vedranno per lo più il solo assegno sociale ( pensione minima) che oggi è di 459 euro (!!!).

La stessa sorte rischia di toccare alle donne che “scelgono” il part-time per motivi familiari ( figli, genitori anziani, disabili) e a causa di uno Stato che non è stato ancora capace di mettere un piedi uno Stato Sociale degno di questo nome con una rete di servizi educativi per l’infanzia, di cura degli anziani, di centri per persone disabili e non autosufficienti .

Vi è da dire che ci sono anche molte donne che non riescono ad ottenere il part-time pur avendolo richiesto. Ci ritroviamo quindi davanti alla situazione paradossale in cui alcune donne e ragazze lavorano part-time, pur non volendolo, e altre che ne avrebbero bisogno e non riescono ad accedervi il tutto con costi in termini economici, sociali e di salute ( fisica e mentale) altissimi proprio a causa di quell’assenza di Stato Sociale.

A questo va aggiunto il mancato riconoscimento di tutto il lavoro non retribuito che le donne svolgono ed una diffusa visione negativa e riduttiva del ruolo delle madri, sostenuta anche dalla retorica del paritarismo piatto ( flat parification) che nega le differenze fra madri e padri nelle varie fasi della vita dei figli e che anzi spinge le donne a rinnegare e sminuire il loro ruolo quando diventano madri.

Questo è lo scenario su cui si è abbattuto il lockdown e se teniamo in considerazione ciò che sta accadendo e le previsioni future, ci rendiamo conto che la sfida rischia di diventare dramma. E’ di oggi l’indagine che sottolinea come il 30% delle madri prevede di lasciare il lavoro nell’eventualità di un prolungamento della didattica a distanza.

Un pensiero è doveroso a tutte quelle donne straniere che si sono ritrovate sole nello stare vicine ai figli con la DAD e non è un caso che siano stati proprio i bambini stranieri a costituire una fetta importante di coloro che sono scomparsi completamente dal radar delle scuole e non solo per mancanza di dispositivi ma anche ( e forse soprattutto ) per la mancanza di competenze linguistiche delle madri. Ricordiamo che durante questo periodo le madri hanno dedicato circa 4 ore al giorno per sostenere i figli con la didattica a distanza.

Credo che la sfida per il lavoro femmile vada giocata su due assi paralleli uno nell’immediato per far sì che chi non lavora sia messa in condizione di trovare lavoro ed uno in prospettiva che cambi anche i presupposti sociali e di istruzione. E’ innegabile che l’alto abbandono scolastico, soprattutto al Sud, e le basse percentuali di laureate ( l’Italia è penultima in Europa per tasso di persone laureate) giochino un ruolo determinante.

Penso che le ragazze e le donne dovrebbero pretendere a gran voce innanzitutto più lavoro per quelle con un livello di istruzione medio e medio-basso e poi fare pressione affinché

1 – ci si adegui alla media europea quando si tratta di congedo di maternità sia in termini quantitativi che di retribuzione quindi il 100% per la maternità obbligatoria ( al momento è l’80%) ed il 65% per quella facoltativa ( ad oggi è il 30%), ricordandoci che non sono le imprese a pagare ma l’INPS

2- che si riformi tutta la normativa relativa alla formazione professionale e che veda le Regioni protagoniste e non semplici finanziatrici senza possibilità o volontà di controllo

3- maggiori finanziamenti alla scuola e maggiori strumenti alla scuola

4- il contrasto agli stereotipi e ai ruoli ( tutti basati sul concetto di genere ) che indirizzano le ragazze non solo verso comportamenti sociali remissivi e di adattamento all’ingiustizia e all’inferiorizzazione ma che le inoculano in un percorso scolastico, formativo e professionale prestabilito

A questo pezzo mancano tantissimi livelli di riflessione, come quello della retribuzione che non è solo una questione di divario retributivo ma ha anche a che fare con i licenziamenti e il ricorso soprattutto da parte donne al congedo parentale.

Ma questo…sarà per un’altra volta. E ricordiamoci:

DEEDS NOT WORDS!

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