Perfide, mostruose, demoniache, nemiche: gli stereotipi tramandati sulla nostra malvagità

Quando parliamo di stereotipi di genere spesso ci soffermiamo su tutti quegli stereotipi che ci dipingono come remissive, condiscendenti, deboli, servizievoli, accoglienti. Eppure ci sono stereotipi millenari e molto ben radicati che ci danneggiano in modo persino più subdolo proprio perché spesso non rientrano nella narrazione sugli stereotipi. E sono tutti gli stereotipi sulla nostra malvagità, il nostro animo incline alla manipolazione, alla seduzione maligna, al nostro essere dei parassiti e delle sanguisughe, il nostro essere invidiose e molto altro ancora.

Uno dei libri che più ho amato durante la tarda infanzia era un volume sulle fate nella tradizione britannica, scozzese e irlandese (le amanti del fantasy probabilmente lo conoscono).

A differenza di quello che comunemente si pensa non sono solo le streghe a detenere il primato esclusivo della malvagità; quasi tutte le culture hanno esseri spaventosi di sesso femminile che oscillano fra il demoniaco e l’animalesco. E proprio l’animalizzazione e la demonizzazione sono state le forme di deumanizzazione più persistenti ai danni del sesso femminile; queste due strategie culturali sono spesso il preambolo dell’oggettivazione.

Entrambe sono state utili a giustificare la nostra repressione e la nostra subordinazione, a mettere in cattiva luce tutte quelle caratteristiche che dovevamo rifiutare e persino a indurci a vederci come nemiche.

L’animalizzazione significa negare ad un gruppo le caratteristiche tipiche dell’umano , mentre la demonizzazione è l’attribuzione di poteri sovrannaturali a scopo malefico, la collusione col maligno sovrannaturale. Per quanto riguarda le donne l’animalizzazione e la demonizzazione in alcuni casi hanno persino coinciso nella rappresentazione letteraria, nella teologia e nella filosofia.

Potremmo sinteticamente dire che in quasi tutti i folklore le donne fanno queste cose: seducono gli uomini per ucciderli; risucchiano l’anima e le forze vitali; competono per l’aspetto e a causa dell’invidia; uccidono i bambini.

Jenny Dentiverdi, Peg Powler, la Budrina sono tutte fate malvagie che vivono nell’acqua e che si dilettano a far annegare dei poveri malcapitati o dei bambini. Cosa che difficilmente può avere una qualsivoglia base di verità se si tiene conto della disparità di forza fisica fra maschi e femmine.

Demoni per metà animale e per metà donne bellissime sono le baobhou-sith e le glaistig e le donne cervo (nord america) che uccidono gli uomini dopo averli sedotti; comportamento simile hanno le yuki-onna giapponesi, demoni dall’inumana bellezza che uccidono gli uomini e ne risucchiano l’anima, e le leannán sídhe scozzesi.

La Llorona (un personaggio della tradizione del sud america) è una donna vestita da sposa che piange perché ha ucciso i figli affogandoli e poi si è suicidata per il dolore, tutto nel giorno del proprio matrimonio. Secondo la diceria il suo spettro non trova quiete e gira per rubare i figli altrui. Un personaggio che ricorda Medea della tradizione greca.

Altro filone narrativo è quello che riguarda la competizione fra donne che ci viene letteralmente imposta da sempre privandoci di una narrazione opposta che sia altrettanto significativa, nonostante nel corso della storia la solidarietà femminile sia stata qualcosa di reale e molto concreto. Pensiamo ad esempio la condivisione dei compiti di cura nei quartieri popolari, il recupero delle donne costrette alla prostituzione nel ‘900 da parte di altre donne o i centri antiviolenza nati dalla volontà e dal volontariato delle donne.

Medusa, Aracne, Psyche hanno in comune l’essere state punite per aver osato gareggiare in bellezza e bravura con le dee (Atena le prime due, Afrodite l’ultima): una viene trasformata in un essere mostruoso che pietrifica gli uomini, una viene trasformata in un ragno e l’ultima viene costretta a un matrimonio forzato con Eros.

Una guerra, quella di Troia, si scatena perché tre dee hanno chiesto a un uomo il riconoscimento come dea più bella, il quale sceglie come ricompensa una donna (la più bella), Elena.

Questi miti, che sono stati scritti da uomini, hanno tramandato una visione della donna che compete con le altre donne per ottenere approvazione maschile o per l’aspetto. Una tradizione che è sopravvissuta millenni; basti pensare a fiabe, poi rese pellicole cinematografiche, come quella di Biancaneve, Rosaspina (la bella addormentata nel bosco), la Sirenetta. Fiabe che raccontano di donne invidiose di altre donne per il loro aspetto, crudeli orchesse pronte a divorare bambini (la suocera della bella addormentata), streghe del mare che pongono come sfida la competizione per il maschio che coincide con una competizione per la sopravvivenza.

Le fiabe infatti non sono disastrose solo per la presenza di personaggi femminili assolutamente passivi e inermi come le principesse, ma per le antagoniste tormentate dalla competizione fra donne o che tormentano con la competizione fra donne.

Qualcuno potrebbe dire che quelle fiabe e quei miti esistono perché effettivamente le donne sono così, eppure l’epica ed in generale la mitologia restituisce sempre un’immagine quasi esclusivamente positiva del sesso maschile. Mi sembra uno squilibrio vistoso se si pensa che il trofeo della criminalità lo detengono gli uomini, sono gli uomini ad aver scelto la guerra come mezzo per la “risoluzione” delle controversie; sono gli uomini ad aver governato in modo quasi esclusivo il mondo da sempre e il mondo non mi sembra affatto messo bene.

Una menzione speciale va fatta a proposito delle religioni monoteistiche.

Le religioni monoteistiche si sono scagliate contro le donne in modo feroce sia per quel che riguarda la rappresentazione e la tradizione culturale, sia per quel che riguarda l’azione di oppressione, repressione e sterminio.

Lilith, nella tradizione ebraica, era la prima donna formata della stessa materia di Adamo – e non una sua derivazione come sarà Eva (la seconda prima donna) – che venne ripudiata e cacciata dal marito perché si rifiutava di obbedirgli, resa un demone notturno che danneggia i bambini di sesso maschile e detiene tutte le caratteristiche che le donne dovrebbero fuggire: indipendenza, libertà sessuale (descritta come lussuria), adulterio. Nella Bibbia di Re Giacomo viene rappresentata come una civetta; non a caso il termine civettare indica proprio l’agire della donna maliziosa che intende sedurre. La civetta associata in modo negativo alle donne appartiene alla tradizione e nello specifico alle TAH-TAH-kle’-ah (Le Donne-Gufo) che di notte si alzano in volo per catturare e mangiare ogni sorta di creatura, compresi gli esseri umani, soprattutto i bambini.

Di Eva non abbiamo bisogno di dire nulla se non che, come Pandora (definita pensate un po’ faccia di cagna), rappresenta le sciagure che si abbattono sugli esseri umani quando le donne sono curiose o cercano di accedere alla conoscenza.

Un esempio molto conosciuto di demonizzazione è la Caccia alle streghe da parte della Chiesa cattolica: il Malleus Maleficarum (un trattato del 1487) sosteneva l’esistenza di uno stretto rapporto tra stregoneria e sesso femminile; secondo questo trattato la naturale inferiorità delle donne (per natura ritenute irrazionali, deboli e lascive) le rendeva facile preda del demonio. Gli autori del Malleus sostenevano che le donne «sembrano appartenere a una natura diversa da quella degli uomini», dato comprovato dal «difetto di origine» costituito dalla costola curva con cui Eva è stata creata, cosa che l’ha resa un «animale imperfetto», come insegna l’etimologia: «foemina viene da fe e minus, perché sempre essa ha ed è capace di conservare minore fede»

Per rimanere in tema di stregoneria è indicativo come la stessa rappresentazione iconografica delle streghe unisce animalizzazione e demonizzazione: il naso adunco delle streghe è l’apposizione di un becco di corvo sul viso di donna, che casualmente è definito l’uccello del malaugurio ed è uno degli animali (insieme alla civetta) associati a Lilith.

Il corpo femminile diventa esso stesso un veicolo di perdizione: vulva e vagina vengono spesso definite, la porta del diavolo, non a caso l’iconografica cristiana rappresenta la bocca dell’inferno come un’enorme vulva dentata, immagine cara a Freud per rendere la paura maschile per la castrazione.

Ovviamente qui ho fatto una rapida e sinteticissima carrellata di come le donne vengono rappresentate negativamente nella cultura da millenni a tutte le latitudini. E’ secondo me importante capire che alle donne non è stato lasciato lo spazio per essere e vivere secondo il loro carattere e le loro inclinazioni: per essere ben viste dovevano adeguarsi a tutte quelle figure femminili positive che si trovano in tutte le culture e che erano sempre mogli, madri devote, accondiscendenti, composte, silenziose e dotate di spirito di sacrificio che si fa annullamento. Dee, madonne, sante, martiri e principesse.

L’alternativa era l’esilio, la persecuzione, il manicomio, la punizione.

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