Le norme patriarcali sul sesso femminile producono due grandi effetti.
Il primo è quello di renderci meno umane come dimostrato ampiamente da tutte le femministe (o femministe ante litteram) da Christine de Pizan a Simone De Beauvoir, da Adrienne Rich a Carla Lonzi, passando per Mary Wollstoncraft, Kate Millet, Carla Ravaioli e Catharine MacKinnon. Da sempre rese degli esseri subumani raccontate ora come diaboliche ora come animali, le donne sono utili solo per garantire una stirpe agli uomini o poco più.
Il secondo, che è un passaggio successivo, è quello di uniformarci verso il basso rendendoci una schiera indistinta di dannate che cercano incessantemente di emergere per non soccombere; uno stuolo di succubi alle quali lanciare briciole per illuderle di potersi riscattare, a patto che coloro che si riscattano si distinguano in modo netto dalle altre, che rinneghino la schiera da cui provengono.
Questo secondo effetto oggi serve il pensiero liberale e liberista che fa dell’unicità, dell’essere speciali il suo mantra: per una che emerge 1000 rimangono al palo, ma ogni donna che emerge illude quelle che non ce la fanno. Allora diventa tutto una questione di percentuali nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, di autodeterminazione capitalista, individualista e feroce, ma camuffata da self empowerment tramite il trucco per scelta, l’auto-oggettificazione consapevole e rivendicata, il pensiero indipendente pronto a mettere K.O. le donne usando le stesse come portatrici colpose di patriarcato.
A questo punto diventa una gara a chi è sempre più o meno donna delle altre secondo questo o quel canone; in realtà vanno bene tutte e due considerato che alle donne in 5000 anni è stato impedito di dire cosa fossero ed è stata imposta una definizione duttile, effimera, sfuggente e piegata all’utilità delle varie epoche e culture maschili (e sottolineo maschili, non umane).
Essere quelle diverse, tracciare e rivendicare la diversità dalle altre è esattamente la corsa affannosa che ancora non riusciamo a vedere (come avrebbe detto Carla Lonzi) e, quindi, di cui non riusciamo a liberarci.
Gli uomini, i maschi, invece, sono lì tutti uguali e tutti diversi, pronti ad uccidersi l’un l’altro, ma al tempo stesso a riconoscersi potere se necessario.
Ciascuno comunque “padrone a casa propria”: non ha importanza se casa propria sia un paese, un quartiere, una fabbrica, un’università.
Le donne dovrebbero ricordarsi sempre che la guerra, il razzismo, lo sterminio sono sempre e solo stata opera del maschio della specie umana; maschio che le donne le ha sempre messe al servizio di se stesso. Ovviamente tutte le norme hanno delle eccezioni, e le donne sono riuscite a porne tante di eccezioni senza riuscire a scalfire la regola, proprio perché le donne si sono illuse che giocare secondo le regole degli uomini avrebbe pagato.

“Tu non sei come le altre… Tu sei unica” è quello che le donne si sentono dire per essere illuse di poter essere quel qualcosa, di meglio del nulla, che spesso siamo agli occhi degli uomini che ci circondano. Gli uomini ci blandiscono, ci elogiano, ci riconoscono a parole per poi nel concreto continuare a fare quello che hanno sempre fatto: cioè promuovere loro stessi.
A volte penso che se esiste un modo per spogliarci di queste vesti è proprio quello di smettere di cercare di essere differenti dalle altre in modo spasmodico, fermarci e iniziare a pensare a quanto in comune abbiamo con le altre, di pensare soprattutto a quanto abbiamo in comune e non ci piace affatto. Pensare alle somiglianze dolorose, quelle che ci fanno anche un po’ vergognare di noi stesse, e che cerchiamo di camuffare. Dopo averle viste, guardate e isolate iniziare a smantellarle in prima persona affiancandoci alle altre in un modo che ci è stato sempre negato: amando noi stesse e amando le altre (e cosa implichi questo amore meriterebbe o meriterà più di una riflessione in questo blog).
Posso dire che amare non essere indulgenti: non è giustificare noi stesse e nemmeno farlo con le altre, al tempo stesso non è femminista amare noi stesse e contemporaneamente sparare simbolicamente a tutte le donne mentre si glorificano più o meno inconsapevolmente gli uomini.
Solo dopo che avremo imparato ad amare noi stesse (accettandoci, liberandoci, conoscendoci e vedendoci veramente) e avremo a poco a poco imparato ad amare le altre, potremo vedere nelle altre le differenze.
Solo riconoscendoci autenticamente come esseri umani completi potremo permetterci di celebrare le differenze, trovare le nostre unicità. Perché senza la tela i colori sono inutili.
Probabilmente la sfida femminista più ardua è accettarsi autenticamente nelle differenze e riconoscersi lealmente nelle somiglianze.
FILOGINIA, insomma.
Myrina come sempre ispiri con i tuoi scritti, questo lo condivido in modo particolare, e specialmente in questo momento che sto vivendo, quindi lo calo necessariamente e come sono solita fare, nel mio privato-politico oltre che osservarlo e osservarne le fattezze nella società patriarcale che ci costringono a vivere. Grazie.
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