Ho sempre amato visitare i cimiteri e passeggiarvici (è una passione che condividevo con mio padre) e, coerentemente con I Sepolcri, una delle mie poesie preferite, ho sempre sentito risuonare in me l’importanza del ricordo e dell’esempio.
Nel tempo mi sono resa conto che la funzione che attribuiamo in Italia alla toponomastica è la stessa del cimitero: l’intitolazione delle vie simula la funzione del cimitero; le strade ci ricordano le grandi gesta o le grandi sventure, personalità ritenute eccellenti, i sacrifici, l’espressione della genialità e della creatività.
Come in tutte le cose anche il modo in cui le strade vengono intitolate riflette l’egemonia maschile che incombe su tutto.
Immagino che la questione della toponomastica possa risultare secondaria, se non assolutamente irrilevante, soprattutto se si considera che il sesso maschile (soprattutto quello che ha potere decisionale) non coglie (o fa finta di non farlo) gli effetti che tutta questa presenza strabordante del maschile rende possibili.
Prestigio, onore e soprattutto ispirazione sono il dividendo (per parafrasare Volpato) che il sesso maschile riscuote fin dall’infanzia quando si sofferma a leggere i nomi delle strade. Sono (quasi) tutti maschi.
E così inconsciamente e indirettamente ogni bambino che viene al mondo impara che le strade sono sue, che lo spazio pubblico è suo e che quello spazio lo aspetta e gli spetta; uno spazio che gli consegna un orizzonte di possibile grandezza e grandiosità da vivere in prima persona.

Ogni bambina che viene al mondo impara, invece, che le strade sono abitate dai maschi, vivi o morti che siano, che il suo spazio pubblico sarà infinitamente ridotto come il numero di vie riservate alle donne e con esso verrà ridotto l’orizzonte di azione e aspirazione.
Spesso quando qualcuna fa notare la mancanza di vie intitolate alle donne qualcuno pone come obiezione il fatto che non ci siano donne cui dedicare le medesime; quest’affermazione non solo è infondata ma è anche un vero e proprio affronto alla nostra intelligenza.
C’è, in quasi ogni comune, paesello o metropoli una via intitolata ai fratelli Bandiera, a Mazzini, Garibaldi, non sempre invece c’è una via intitolata a Caterina Sforza.
E se anche esaurissimo tutte le donne che sono riuscite a divincolarsi dalla morsa opprimente del genere attribuito al proprio sesso e restasse uno spiccato squilibrio, allora dovremmo raccontare ai bambini e alle bambine il perché di tale squilibrio.
Bisognerebbe raccontare che al sesso femminile è stato vietato di possedere qualsiasi cosa, di essere riconosciuto come genitore giuridicamente rilevante, di far parte degli eserciti, gestire denaro, studiare, leggere, scrivere. Bisognerebbe raccontare nelle scuole, sempre e con costanza e non una volta l’anno perché costretti, che sul sesso femminile si è attuata e viene attuata la più grande cancellazione, rimozione e repressione della storia.
Bisognerebbe ricordare a tutte e tutti loro che quelle che hanno fatto qualcosa l’hanno fatta pagando spesso un prezzo molto alto e non sempre con la morte, o una morte immediata e incruenta.
E se anche fossero numericamente molto inferiori, ciò non toglie che il numero esiguo di donne che abitano nella memoria delle strade è ridicolo rispetto a quelle che effettivamente hanno strappato brandelli dalle avide mani maschili.
Ogni bambina che viene al mondo ha il diritto di sapere che il suo luogo non è solo la casa (le ville invece vengono intitolate alle donne, perché le ville sono comunque focolare domestico, costoso, ma sempre focolare), ma lo spazio pubblico e che le strade che percorre sono state attraversate da molte altre donne prima di lei e che le aspirazioni che hanno avuto sono un po’ come le sue e che quelle strade le lascerà in eredità a tutte le bambine dopo di lei.